L'Aids fa bene alla MLDParola di Luigi Naldini
sabato, 21 aprile 2007 -
L’Hiv, uno dei virus più temibili della storia, per alcune migliaia di bambini sparsi nel mondo ed affetti da una malattia rara ma gravissima, la leucodistrofia metacromatica, potrebbe rappresentare una speranza di sopravvivenza. Proprio il virus dell'Aids, infatti, giocherà un ruolo fondamentale nella messa a punto della prima terapia genica contro questa malattia: 'addomesticato’ in laboratorio, e dunque innocuo, conserverà la sua capacità infettiva per trasportare il gene sano con cui 'contagiare’ le cellule dei piccoli pazienti. Una ricerca tutta italiana, guidata dal professor Luigi Naldini.
di Gianluca Gioia
Trasformare il virus dell'Hiv, per mezzo dell'ingegneria genetica, in un vettore benefico che possa aiutare a sconfiggere le malattie, come la leucodistrofia metacromatica, che attaccando il sistema nervoso ne provoca la progressiva degenerazione fino alla morte del malato. Su questa intuizione si basa la ricerca iniziata dal professore torinese Luigi Naldini, inizialmente guardato con ‘altezzoso stupore’ dai luminari scientifici ed ora divenuto punto di riferimento per studi internazionali. Una ricerca che dura ormai da dieci anni, "da quando - racconta Naldini, condirettore dell'Istituto San Raffaele per la terapia genica (Hsr-Tiget) di Milano - i genitori di un bambino malato sono venuti al San Raffaele a chiederci di fare qualcosa. Io, allora, ero negli Stati Uniti e con una ricercatrice dell'ospedale milanese abbiamo cominciato a provare questa strategia: abbiamo iniettato un gene modificato nel cervello di alcune cavie affette dalla stessa malattia riscontrando subito la riparazione dei danni subiti. Il problema a quel punto è stato cercare la maniera di portare lo stesso gene a tutte le terminazioni nervose che vengono intaccate dalla leucodistrofia metacromatica". L'ostacolo principale, infatti, è rappresentato dall'impossibilità di raggiungere, con un gene modificato in grado di arrestare il decorso della malattia, non solo il cervello ma anche le terminazioni nervose più remote. Da lì l'idea di utilizzare un "virus veloce" che arrivasse in tutto il corpo umano. "Così, abbiamo sperimentato questa tecnica sull'Hiv, che è effettivamente un virus fortemente invasivo e che consente di raggiungere rapidamente tutte le terminazioni nervose".
Ma in che modo il 'cattivo’ virus dell'Aids diventa 'buono’, trasformandosi in un prezioso alleato? A spiegarlo è lo stesso Naldini, fiero di essere capofila in una ricerca per la quale ha deciso di ritornare in Italia dopo anni trascorsi negli Stati Uniti. Proprio negli Usa ha sviluppato per primo il vettore derivato dal virus Hiv.
Come chiarisce il professor Luigi Naldini, "la leucodistrofia metacromatica, la cui incidenza è di 1 su 40.000 bambini, è una malattia ereditaria trasmessa da due genitori sani e causata da un difetto genetico che determina la mancanza di un enzima, l'Arilsolfatasi (Arsa)". In condizioni normali, l'Arsa favorisce il rinnovamento della mielina, il "nastro isolante" che avvolge i nervi permettendo la conduzione veloce dell'impulso elettrico. In assenza di questo enzima, il processo si blocca causando un accumulo di sostanze tossiche nel sistema nervoso che porta alla degenerazione delle normali funzioni neurologiche. La malattia si manifesta in età infantile con una perdita progressiva delle capacità motorie e neurologiche e conduce sempre al decesso precoce.
L'evoluzione è grave e con esito fatale. Che fare allora? L'idea è apparentemente semplice: “Prendiamo le cellule staminali del sangue del paziente - spiega Naldini - e le teniamo in coltura insieme al virus Hiv modificato che mantiene però la sua capacità altamente infettiva; così l'Hiv-amico, utilizzato come vettore, 'contagia’ le cellule staminali con cui è a contatto portando al loro interno il gene sano”. A questo punto, le staminali portatrici del gene sano vengono reiniettate nel paziente e iniziano a proliferare nel suo organismo raggiungendo, con il sangue, anche i nervi periferici. La tecnica ha funzionato sui topi, curando tutti i sintomi della malattia, ora si tratta di verificare i risultati nell'uomo.
“Se tutto andrà secondo i piani - ha affermato ancora l'esperto - il Tiget chiederà l'autorizzazione all'avvio della sperimentazione clinica all'Istituto superiore della Sanità entro la fine dell'anno in corso e potrebbe iniziare a trattare i primi pazienti entro il 2008”. "È solo questione di tempo - spiega Naldini - o, meglio, di tempi tecnici. Il finanziamento è sufficiente grazie ai fondi Telethon, la ricerca è andata avanti, ma è difficile dire cosa ci attendiamo, perché il passaggio dalla sperimentazione sull'animale a quella sull'uomo è sempre molto incerto. L'obiettivo è mettere 'Ko’ la malattia ed ora il traguardo appare più vicino.
Al Tigem, precisa Naldini, “abbiamo in osservazione una trentina di piccoli pazienti provenienti da vari paesi ed ora valuteremo i criteri per l'arruolamento; la sperimentazione dovrebbe partire su sei piccoli e pensiamo di dare priorità a bambini in cui la malattia sia appena agli esordi. L'obiettivo è bloccarne gli effetti dall'inizio, per contenere i danni quasi del tutto”.
Le premesse sono buone e l'auspicio è che si faccia in fretta. Ma da oggi, per bambini come Pietro - piccolo protagonista del cortometraggio Telethon per far conoscere la leucodistrofia - c'è certamente una speranza in più. Pietro nel filmato appare accanto alla mamma che racconta: “Era un bimbo vivacissimo, saltava, rideva, chiacchierava. Poi ha cominciato a non ingoiare, finché ha smesso di parlare e muoversi. Si è reso conto che si stava ammalando e un giorno mi ha detto arrabbiato che voleva crescere”.
Insomma, la strada è aperta e se tale approccio funzionerà, dice Naldini, “potrebbe essere applicato anche per la cura di altre malattie, come la talassemia”.
Ma le storie di Leucodistrofia non finiscono, purtroppo...Edoardo: